ROMINA ARMELLINI: A bracciate contro il tumore
Nata a Johannesburg da genitori italiani, ha all'attivo buoni tempi nel nuoto -nel 2008 deteneva il record italiano nei 100 m dorso in vasca corta - ma soprattutto una grandissima
vittoria, forse la più importante nella vita, quella
contro il cancro.
Appena diciassettenne, nel 2002, osservi allo specchio un gonfiore sospetto al collo che nasconde la verità più drammatica, un tumore alla tiroide. Come hai affrontato una diagnosi così impietosa?
"Diciamo che dopo una settimana di analisi ed esami era normale immaginare di cosa si trattasse. Non è stata una sorpresa, quindi, quando il dottore mi ha detto che avevo il cancro e la mia prima domanda è stata 'Quando posso tornare in acqua?'"
Quindi il nuoto era già in testa ai tuoi pensieri. Non hai pensato al rischio di morire?
"Nuoto da sempre. Ho iniziato a farlo a livello agonistico a 8 anni e a 17 avevo raggiunto un livello abbastanza alto per la mia età, per cui naturalmente la mia prima preoccupazione è stata quella di non poter continuare. Poi mi sono venute molte altre domande: perché proprio a me? Questa cosa è arrivata all'improvviso, a me che non sono geneticamente predisposta, che ho sempre condotto una vita sana, senza uscire, mangiando bene, praticando attività fisica, sempre da brava ragazza insomma. Che cosa ho fatto di male per meritare questo, mi chiedevo. E, successivamente, mi sono fatta anche domande più profonde, su cosa fosse la morte, se ci fosse un aldilà. Ma ho anche pensato che non era la fine, mi sono data tante risposte".
Quali sono queste risposte?
"È difficile concentrare tutto in poche parole. Tutti mi dicevano di combattere, di essere positiva, ma la lezione più grande che ho imparato è che non bisogna far finta che l'ombra non esista, negare le cose brutte, ma piuttosto provare a comprenderle. Solo capendo quanto sono scure certe cose, si può apprezzare la luce. Ora ho una diversa prospettiva nella vita: apprezzo ogni momento per quello che è e non ho pazienza con le persone che per esempio si piangono addosso. Ho capito che ci sono già tante cose che ci frenano, non c'è bisogno che noi, da soli, ci poniamo altri ostacoli. A volte ci facciamo bloccare da paure che neppure esistono e non viviamo la vita per timore delle conseguenze, del fallimento. Dico sempre che la malattia è stata la mia rinascita, mi ha permesso di scoprire la mia vera anima. Oggi la società ci impone vari ruoli, quello di mamma, di moglie, anche di nuotatrice. Mi sono resa conto, invece, che Romina può fare qualsiasi cosa nella vita. Se si desidera seguire una strada, a volte non serve riflettere troppo. Devi prima lasciarti cadere nel vuoto per volare. Io non ho più paura di niente, mi lascio cadere, seguo il cuore e finora ho sempre volato".
Dopo aver sconfitto la malattia, nel 2005, sei arrivata in Italia.
"Avevo già cominciato a nuotare per l'Italia a 17 anni, perché lo desideravo tanto, avendo papà veronese e mamma romana. Inoltre, in Sudafrica il mondo del nuoto è legato alla politica, in squadra vogliono solo atleti di colore e le mie origini italiane mi toglievano ogni appoggio. Però, con la malattia, tutto era rimasto in sospeso. Solo dopo sono arrivata qui. All'inizio è stato difficile: una cultura e una lingua che non conoscevo e poi ero da sola. Ma, pian piano, ho trovato il mio ambiente".
Ora come stai? Quali sono i tuoi progetti?
"Ho rotto il braccio all'inizio di gennaio, ma per il resto sto benissimo. Spero di riuscire a recuperare per i mondiali di Roma. Mi dispiacerebbe non farcela, ma ci sono sempre gli Europei e altre gare. Andrò avanti fino alle prossime Olimpiadi e poi vediamo. Io voglio continuare a nuotare finché posso dare il massimo, e sento che ho ancora molto da tirare fuori."