Vita da arbitro, insulti e sospetti gli ultimi dilettanti dei Giochi
Repubblica — 17 agosto 2008 pagina 60 sezione: SPORT
EMILIO MARRESE PECHINO - Meno male che c' è anche Robin Hood tra gli arbitri: viene da Wanganui in Nuova Zelanda e giudica i tuffi da cinque Olimpiadi. Magari la Cagnotto, oggi, può stare più serena (o è già troppo ricca?). Nel sito web ufficiale di Pechino 2008 si trovano le biografie anche dei cavalli iscritti: degli arbitri no. Al massimo la data di nascita di qualcuno. Si sa quanti sono i volontari, quelli che ti dicono buongiorno alla porta, ma non quanti siano i giudici di gara, quelli che a volte ti mettono alla porta. Circa ottocento, ma una lista precisa non esiste. Neanche il Coni sa quanti siano gli italiani (una trentina). Eppure qualcosina contano. Un mondo, un sogno. E l' incubo degli arbitri. I cugini rompipalle dell' Olympic Family, di quelli che a Natale non puoi fare a meno di invitare. Prima o poi li sostituiranno con le moviole, ma non tanto presto: non è che ora si litighi meno nella scherma, dove la moviola è stata introdotta proprio con quello scopo. Nella boxe, altro sport che convive col sospetto (spesso fondato), i dilettanti avranno il contapugni elettronici. La prossima volta. Il replay avrebbe tolto un gol ai belgi e dato altri due rigori all' Italia del calcio. Perfino il settimo oro di Phelps è stato vivisezionato inutilmente al rallentatore dai serbi di Cavic. Tranne i pochi professionisti degli sport più ricchi, tutti gli altri arbitri hanno dovuto prendere le ferie per essere qui. In albergo, perché al Villaggio degli atleti non li fanno nemmeno entrare, a meno che non chiedano il pass un giorno prima e soltanto nelle aree comuni, non sia mai tra gli alloggi. I contatti con gli sportivi potrebbero essere scabrosi: mica siamo alle Olimpiadi. Eppure sono i veri, forse gli unici dilettanti (molti allo sbaraglio) dei Giochi. Come l' elettricista inglese Billy Phillips che fa il giudice nella boxe o il pompiere canadese Darryl Friesen del beach volley. Come il giudice torinese del canottaggio Vincenzo Villari, primario di psichiatria alle Molinette, o l' americano Leon Preston del taekwondo che, nei ritagli di tempo, gira nelle biblioteche di Pechino a studiare testi di psicologia sportiva che gli torna buona coi suoi allievi dei sobborghi di Seattle, cui insegna l' arte gratuitamente. Tutti qui per cento dollari al giorno di rimborso (che le federazioni più danarose integrano con un premio, ma niente di che) a prendersi insulti e accuse. I giudici cinesi, con in testa il capo dell' atletica Feng Xiadong, hanno anche frequentato un corso di inglese, con esame finale per poter avere l' abilitazione e capire meglio le insolenze. Incompetenti, se va bene: sennò corrotti. Alla cerimonia di apertura gli atleti giurano solennemente di essere leali e gli arbitri imparziali: poi dal giorno dopo, quando l' importante non è più partecipare, si comincia al solito con proteste, reclami, contumelie. Il Cio proprio ieri s' è ripreso il bronzo che il lottatore svedese Abrahamian aveva platealmente schifato, abbandonando platealmente il podio dopo la semifinale con Minguzzi. Ieri è toccato all' Italia della scherma e del calcio prendersela con i direttori di gara, ma ogni giorno ce n' è una. Il peso gallo britannico ha accusato i giudici di aver favorito il rivale cinese Gu Yu. Il ministro dello sport australiano ha chiesto un' indagine sulla finale del double trap (D' Aniello argento) perché i giudici, tra i quali un cinese, non avrebbero visto che il cinese Hu Binyuan, bronzo, aveva mancato due bersagli, penalizzando così l' australiano Russel. Prima del putiferio di ieri, anche la Trillini aveva sparato a zero dopo la sconfitta nelle semifinali del fioretto: «Una vergogna: ladri». Arbitraggi leali li aveva auspicati sin dalla vigilia pure il judoka Vladimir Putin, mentre mandava i carri armati in Georgia. - EMILIO MARRESE